Tutti a bordo

Premessa

Abbiamo visto nel brano della settimana scorsa che cosa hanno voluto indicarci, con l’agenda sull’assertività, i trainers. Nelle persone delle tre scimmiette storiche del logo della Passaparola. E crediamo non ci siano alternative rispetto al considerarci tutti a bordo. Di qui la naturale rievocazione del gioco Nave che riportiamo al termine di questo scritto.

Tutti nella stessa barca?

Questa è l’espressione che va per la maggiore ogni volta che si vuole richiamare tutti alle proprie responsabilità. Ma non è nostra intenzione inoculare il senso di colpa per le scelte negative che decenni dopo decenni la nostra specie ha compiuto. Specie a danno dell’ecosistema. Scelte che hanno portato a ritenere la crisi attuale come condizione permanente.

Ecco che se i nostri trainers ci hanno dedicato un training per cui ci hanno fatto salire a bordo della loro navicella, la scelta necessaria si rivela, appunto, quella di restare a bordo.

Ma non per un impulso di fuga dal pianeta Terra. Ma per conservare quella costante veduta panoramica che ci permetta di essere capaci di vedere il nesso tra cose solo apparentemente separate e lontane. Di legare la complessità alla semplicità.

Il tramonto della serendipità

Piuttosto, non è casuale che i nostri trainers ci abbiano preso a bordo addirittura di una nave spaziale. Dato che lo stesso concetto  di liquidità, evocativo dell’acqua, poco sembra ormai in grado di spiegare la fluidità che in questo periodo di pandemia sembra interessare gli obiettivi stessi della nostra specie. Prima saldamente presenti alla fine di un viaggio. Oggi resi assai più incerti dal conto progressivamente sempre più salato che la natura sembra presentarci. Con un duro colpo persino per la stessa serendipità. Difatti se grazie ad essa può capitare di trovare cose diverse da ciò che stavamo cercando, oggi sembra diventato difficile persino  avere chiaro che cosa stiamo cercando. Come una navicella che appunto abbia smarrito la rotta e, come nell’idea progettuale di Viaggio nello spazio, proceda per tentativi ed errori. E in cui il suo equipaggio ha perso la memoria di se e cerca di “recuperarla” misurandosi con ciò che incontra lungo il cammino.

Qualche tempo fa la metafora della società liquida sembrava persino necessaria ad introdurre un qualche elemento di stabilità nella magmaticità delle relazioni e delle forme organizzative. Ora tutto sembra assai più fluido come se fossimo nel vuoto e privi della forza di gravità. Neppure appare possibile stabilire se fluttuiamo o precipitiamo, mancando i punti di riferimento.

Tra la A dell’ Arca e la Z di zattera

Sembriamo stretti tra due tentazioni forti: vedere la barca come una nave (se non come l’Arca di Noè) oppure come la zattera del gioco omonimo di cui abbiamo parlato qualche tempo fa.

Il training sull’assertività ci ha fatto intravedere all’orizzonte una imbarcazione. Spetta a noi, alla nostra volontà e alla nostra creatività, completare il profilo della nave come davanti ad una figura ambivalente.

L’oblò e la visione bidirezionale

Bene, allora rimaniamo tutti a bordo della navicella che ci continua ad ospitare e proseguiamo il viaggio come successe all’equipaggio del nostro progetto di animazione scolastica “Viaggio nello spazio”, descritto in Reti di formazione alla nonviolenza, Torino  1999.  Usando l’oblò sia per guardare lontano, ma stavolta, ogni volta che rispecchia la nostra immagine, anche per riflettere su di noi. Su noi stessi, sul modo di organizzarci e, dunque, sulla nostra specie.

E la nave va

Il gioco che trovate descritto sotto, usato anche dalle scimmiette/trainers, si presta ad una molteplicità di livelli di lettura.

1)-il primo è certamente quello individuale. Che posto e che ruolo penso di avere in un contesto? E mi viene riconosciuto dagli altri?

Nel caso ci fosse una differenza tra ciò che mi attribuisco e ciò che gli altri percepiscono di me, rappresenta un problema? E’ evidente, infatti, che la questione potrebbe non costituire un serio problema (pur tuttavia rimanendo un problema). Specie nel caso, ad esempio, in cui non pensassi di me di essere un leader mentre gli altri dovessero invece avvertirmi come persona influente.  Invece, assai problematico si presenta il caso opposto. Penso di essere importante per i miei colleghi ed invece ciò non appare supportato da alcuna evidenza.

Nave, unitamente a ad altri strumenti dedicati alla rilevazione di tali aspetti (come la stessa finestra di Johary, ma pure il sociogramma), cerca di gettare luce su tale delicato versante dentro una cornice ludica. Nell’intento non tanto di stemperare la drammaticità della questione (un assertivo che si crede un leader, ma non è riconosciuto come tale dai colleghi, si dispiace per due minuti, ma subito dopo riprende a lavorare sodo su di se per ottenere l’obiettivo auspicato) ma per un altro fondamentale motivo.

Come porre la questione in modo diretto senza suscitare reazioni e controreazioni a catena? Si tratta, infatti, di metacomunicare sulla comunicazione, cioè sul come vedo gli altri, ossia una variabile di come gli altri mi vedono (in un gioco di specchi virtualmente infinito). Una sorta di exitpoll ma molto più penetrante ed invasivo. Dal momento che esprimersi sul punto significa correre quantomeno il rischio di peggiorare le relazioni in atto.

Eppure è assolutamente necessario indagare sul versante di cui stiamo parlando, se si vuole avere un quadro, per quanto mai definitivo, delle dinamiche interne ad un gruppo. Abbiamo già a lungo parlato dell’importanza di saper leggere le varie fasi della vita di un gruppo. Soprattutto per cogliere “a che punto siamo” a proposito delle sue prospettive di vita o di morte.

L’ Arca di Noè e l’Arca di Noi

2)-il secondo livello è quello di specie (specifico). Che posto abbiamo come specie umana dentro l’ecosistema. In chiave educativa lo strumento Nave consente di riflettere su tale tema. Facendoci uscire dalle secche della centralità della specie umana per affrontare la tematica della responsabilità in una fase di crisi ecologica.

Da questo punto di vista non possiamo non segnalare l’attualità e l’intatta freschezza di un altro progetto di animazione scolastica intitolato “Arca di Noè” (anch’esso descritto nel libro Reti di formazione alla nonviolenza). Che venne insignito del primo premio in un concorso sull’educazione alla pace nel lontano 1986.

Esso ha il pregio di far immedesimare i passeggeri dell’Arca (dopo averla costruita con le proprie mani) nell’ animale corrispondente alle proprie (supposte) caratteristiche personali, per poi misurarsi con altrettanti animali nel corso di un viaggio. Esperienza che incrocia le difficoltà connesse alle condizioni di ristrettezza di spazi e tempi all’interno dell’Arca e quelle che si incontrano lungo la rotta (quasi sempre più tale che lineare e sotto controllo).

La drammatica attualità della metafora del viaggio e della Nave

Ma perchè tanto insistere da parte nostra su questa metafora?

A parte le considerazioni, già svolte in passato, circa il suo uso in campo economico, per dare l’idea della finitezza delle risorse sul pianeta, si riveda quanto sul punto proponeva per la prima volta Kenneth Boulding,   propone un efficace incrocio tra le tematiche relative ai diversi livelli di realtà, da noi individuati in quello personale, sociale e ecologico.  Ma pure un’ utile rappresentazione dell’idea secondo cui il nostro pianeta non sia altro che la nostra vera casa. Entro cui si inscrive lo spazio più ristretto che riconduciamo all’idea della nostra dimora. Tale rappresentazione può essere un valido antidoto a quegli errori di percezione e di prospettiva da cui sembra afflitta la nostra specie. Errori che dall’oblò della nostra navicella si vedono più distintamente.

Del resto il viaggio produce l’ effetto di allentare su di noi la presa dei parametri dello spazio e del tempo con cui filtriamo la realtà. Costringendo la nostra mente ad un’operazione di rifocalizzazione di cui approfittare per introdurre elementi di novità. Lo stesso effetto lo produce l’immedesimazione teatrale: l’unica alternativa che abbiamo a ciò che chiamiamo vita. Di cui non abbiamo controprova.

Pier Gavino Sechi.